Il vangelo di questa XV Domenica del tempo ordinario, ci fa capire che Gesù detta il ritmo del tempo. Lui vuole che il suo progetto entri in una nuova fase: quella di inviare i discepoli nella prima esperienza della missione. Perciò sceglie i dodici: sono simbolo di totalità, dà loro potere sulle forze del male, definisce l'annuncio del messaggio da proclamare e dà indicazioni chiare e precise. Tutto secondo quanto lui stesso aveva fatto – ma anche ciò che loro avevano visto e sentito – nei suoi viaggi per i villaggi e andando nelle sinagoghe, a contatto con la folla, nelle conversazioni familiari.
Questo modo di procedere è stato, fin dall'inizio, la migliore scuola di formazione per l'invito ad essere missionari. Tutto serve a formare coloro che sono stati e sono chiamati a testimoniare e a collaborare alla realizzazione del progetto di salvezza che Dio ci offre in Gesù Cristo.
“Se una persona ha veramente sperimentato l'amore di Dio che lo salva, non ha bisogno di molto tempo di preparazione per uscire e annunciarlo, non può pretendere che gli vengano date molte lezioni o lunghe istruzioni. Ogni cristiano è missionario in quanto ha incontrato l'amore di Dio in Cristo Gesù; non diciamo più che siamo “discepoli” e “missionari”, ma sempre che siamo “discepoli missionari”, afferma Papa Francesco.
I discepoli si mettono in missione e compiono un lavoro notevole: annunciano la novità della vita con Dio che genera il pentimento per il peccato e l'accettazione del bene da fare, scacciano i demoni che simboleggiano tutto ciò che disumanizza la persona e la società.
Gesù li invia a due a due per sostenersi vicendevolmente, essere testimoni accettati dalla legge ebraica, garantire credibilità qualunque cosa accada, rendere visibile il nucleo iniziale della comunità da costruire. La pratica di questo tipo di invio può essere radicata nella pratica del viaggiare insieme e nell'usanza degli inviati ufficiali del Tempio di Gerusalemme di riscuotere la tassa annuale, secondo le regole di Tosefta prescritte dal trattato. Ma c'è una differenza sostanziale: poiché i discepoli di Gesù sono portatori di un'offerta che non “carica” nulla, percorrono vie impervie senza particolari tutele, armati solo dell'essenziale per la sussistenza, devono rimanere dove sono ben accetti e annunciare la buona novella loro affidata. Il nucleo della comunità, il seme della futura Chiesa, inizia nelle case di accoglienza, basate sui rapporti fraterni, sull'ascolto della parola, sull'ospitalità premurosa e nella certezza che il regno di Dio sta emergendo nei gesti e negli atteggiamenti umani.
Il bagaglio dei discepoli è modesto e leggero. Gesù vuole che i suoi discepoli siano liberati e non legati a nulla, pronti e disponibili per la missione, senza altri pesi e preoccupazioni. Anche noi oggi, attraverso questa liturgia siamo chiamati ad assumere in modo bello e felice, questa missione di invio apostolico, l’accoglienza ospitale, la condivisione di convinzioni esistenziali e portare l’annunzio a tutti: “ La pace sia in questa casa e con tutti coloro che in essa abitano”. Pace che è armonia interiore, familiare, relazionale, ambientale e universale.
P. Jarbson batista silva araujo, fsa